BRESCIA, LA SANITA’ DOLENTE

Dopo che la pandemia del Covid ha pienamente disvelato la crisi profonda del sistema sanitario regionalizzato, anche a Brescia e nella sua provincia si è aperto un grande dibattito sulle strutture e le funzioni che la sanità deve avere all’ interno della comunità. Il tema continua ad essere ancora in queste ultime settimane di pressante attualità. I problemi irrisolti sempre purtroppo all’ ordine del giorno sono quelli relativi alla gestione territoriale, alla emergenza dovuta alla scarsità soprattutto di infermieri ed al pensionamento di molti medici di base, ai lunghissimi, inaccettabili tempi di attesa per analisi ed esami nelle strutture ospedaliere, che si ricollegano al nodo fondamentale del rapporto fra pubblico e privato nella sanità locale ossia del rapporto fra tutela del malato e rincorsa del profitto. La visione liberista dominante nell’epoca attuale infatti considera la salute non un diritto da garantire, ma una possibilità data al singolo dalla sua disponibilità di risorse finanziarie per curarsi.

Le criticità emerse di recente all’attenzione della cronaca locale sono quelle relative alla carenza di personale infermieristico (a Brescia sarebbero necessari almeno 1.000 professionisti in più) e al malfunzionamento delle rete SISS, il sistema informatico essenziale per la sanità regionale dal punto di vista amministrativo (invio di ricette dematerializzate e di certificati medici da parte dei medici di base ai pazienti), con consueto rimpallo delle responsabilità tra Regione e Ministero dell’Economia da cui dipende la gestione della piattaforma.

Ma in realtà le difficoltà sono ormai strutturali e in questa fase nel Bresciano non c’è una sola area medica esente da problematiche. Esperti del settore parlano addirittura di uno tsunami in corso. I servizi sul territorio non sono organizzati adeguatamente e ciò spinge spesso i pazienti a rivolgersi ai pronto-soccorso con relativi intasamenti (presso quello dell’ Ospedale Civile di Brescia c’è ormai un afflusso di oltre 200 pazienti al giorno). D’ altronde la categoria dei medici di base è in sofferenza, perché non c’è stata una programmazione adeguata dei nuovi ingressi per coprire i pensionamenti e il sistema nell’ arco dei prossimi due-tre anni rischia di collassare.  Il massimale di pazienti (che già è elevatissimo, fissato in 1.500 con possibilità di deroga) è stato alzato un po’ a tutti i dottori di famiglia nel Bresciano, ma ciò non è bastato a superare le difficoltà, in quanto la gestione dei sempre più numerosi grandi anziani, malati pluripatologici, cronici- che caratterizzano le società occidentali sviluppate- è diventata veramente difficile per i medici di base, oltre la metà dei quali non ha a disposizione personale di studio.

In questa situazione, anche nel Bresciano ha fatto la sua comparsa il fenomeno di medici e infermieri che lasciano il Paese per andare a lavorare all’estero ed il trend risulta tra il 2020 ed il 2024 in crescita.

L’ ennesima riforma sanitaria regionale prevede l’istituzione delle “case della comunità”. Ma esse non basteranno certo a risolvere le problematiche fin qui elencate, potranno al più servire come strutture integrative con personale amministrativo e infermieristico a supporto. Peraltro esse finora sono restate prevalentemente solo sulla carta, nonostante  la loro costituzione obbligatoria dopo la grave crisi pandemica.

Alla base di tutto vi è in realtà il definanziamento del sistema sanitario nazionale che dura da almeno un ventennio (con buona pace della presunta contrapposizione Centrodestra/ Centrosinistra) e che rende in questo campo la situazione imparagonabile a quella di altri Paesi europei come la Francia o la Germania. Se non si parte dall’ incremento degli stanziamenti è inutile pensare a riorganizzazioni che portino ad un’integrazione vera tra territorio e ospedale. Medici e infermieri lamentano orari sfiancanti, che sono rimasti sostanzialmente tali anche dopo l’incubo della pandemia del Covid, quando avevano raggiunto vette drammatiche, e maggiori riconoscimenti economici che consentano una migliore sostenibilità della loro vita.

Nella nostra regione poi, malgrado la propaganda ufficiale sull’ “eccellenza del modello lombardo”, ad aggravare la situazione hanno contribuito proprio le “riforme” di ispirazione thatcheriana volute dalle Giunte Formigoni (1997), Maroni (2015) e Fontana (2021), anche se è bene ricordare che sono stati governi nazionali del o vicini al centrosinistra (Prodi I, Renzi, Draghi) a dare il via libera alle suddette “riforme”. Nell’arco di un trentennio la Destra lombarda, contrastata per la verità con scarsa efficacia e convinzione,   dall’ opposizione di centrosinistra (un piccolo esempio significativo in tal senso fu proprio a Brescia la presenza nel novembre 2021 dell’ allora sindaco Emilio Del Bono e dell’ assessore Fabio Capra  all’ inaugurazione- definita nientemeno che “a tutti gli effetti celebrazione cittadina”- del nuovo “Centro Synlab Piazza Vittoria”), ha puntato, per motivi ideologici e per concreti tornaconti elettorali, in primo luogo a rafforzare enormemente le strutture private sostenute con fondi pubblici.  In questo contesto, Brescia vanta tristi primati nel processo di privatizzazione dei servizi sanitari. Infatti è la prima città lombarda ad avere un numero maggiore di posti letto, ben 1.740, in 5 strutture cittadine accreditate. Su 3.034 posti letto sono solo 1.294 quelli pubblici. Si è arrivati così, nel maggio del 2023, fino alla comparsa del primo “Pronto Soccorso privato” in città. Per chi può permetterselo, cioè per chi ha soldi a sufficienza, esso garantisce, senza dover aspettare ore, un intervento immediato in presenza di “urgenze minori”, ma con necessità di valutazione specialistica (polmoniti, flebiti, trombosi). E’ sempre la Regione che, attraverso la procedura dell’accredito, dietro corrispettivo, per ogni tipo di prestazione sanitaria (diagnostica, di cura ecc. ecc.) richiesta dai privati affossa la sanità pubblica. Attualmente più della metà dei trasferimenti statali alla Regione finisce nelle tasche dei grandi gruppi sanitari, tra cui alcuni controllati da multinazionali.

Ecco perché, a giudizio di “Potere al Popolo!”, la forza di condizionamento sul servizio socio-sanitario dei grandi gruppi privati si può fermare solo con la volontà politica di tutelare la sanità pubblica. E’ proprio il paradigma privatistico lombardo che va capovolto per riconquistare una sanità pubblica universalistica e solidale, finanziata dalla tassazione generale e progressiva, finalizzata alla promozione di eguaglianza sociale. A ciò si devono aggiungere il contrasto alla corruzione, agli sprechi veri, alle vere inefficienze per rilanciare la sanita territoriale e di prossimità a partire dalla centralità della prevenzione

La sanità pubblica ha come scopo quello di garantire la salute e il benessere di tutti e tutte, la sua funzione è quella di prevenire le malattie e di curarle in tempo e nel modo più adeguato, mentre chi investe sulla sanità privata vuole far fruttare il suo investimento e trarne profitti, per questo non si impegna a offrire servizi costosi e poco remunerati, ma sceglie prestazioni che gli assicurino il più alto guadagno.  Un governo regionale realmente alternativo a quello attuale deve puntare alla prevalenza assoluta della sanità pubblica, e quindi riscrivere tutta la legislazione sulla sanità.

Questo progetto si può concretizzare attraverso una serie di provvedimenti specifici, che erano stati già indicati dalla coalizione di Unione Popolare, di cui “Potere al Popolo!” faceva parte, in occasione delle elezioni regionali del febbraio 2023. Ricordiamo qui in conclusione i principali:

  • stop alle liste d’attesa (agenda unica regionale sotto gestione pubblica);
  • abolizione dell’intramoenia, dei ticket regionali e di ogni forma di partecipazione diretta extrafiscale alla spesa sanitaria da parte dei cittadini;
  • piano straordinario regionale di assunzioni pubbliche a tempo indeterminato di medici, infermieri, OOSS e di tutte le figure necessarie al buon funzionamento della sanità pubblica;
  • ripristino e rafforzamento di tutta la medicina territoriale (Sert, Centri di salute mentale, UONPIA);
  • ricostituzione della medicina preventiva primaria e delle sue articolazioni nelle scuole, nei territori, nei luoghi di lavoro;
  • modifica della legge regionale n.25 per l’introduzione di criteri di reddito ed eliminazione del contributo da parte delle persone con disabilità e/o dei loro nuclei famigliari;
  • attivazione di organismi di partecipazione diretta di cittadini e di associazioni per garantire gestione e controllo popolare su scelte che ricadono sulla vita delle persone;
  • carattere esclusivamente pubblico delle Case e degli Ospedali della Comunità .

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