PRESIDIO A CANTON MOMBELLO

Dinanzi a Canton Mombello, il 9 agosto, in un assolato pomeriggio, si è tenuto un folto presidio di cittadine e cittadini (più di cinquanta i presenti), che hanno voluto manifestare la loro protesta per la degenerazione che appare ormai inarrestabile della situazione all’ interno del centro di reclusione bresciano e la loro solidarietà con i detenuti nel periodo per essi più terribile dell’anno a causa del caldo e del sovraffollamento.

Attivisti appartenenti a tutto l’arco politico di opposizione all’ attuale governo di ultradestra, con un efficace e toccante gesto simbolico, hanno srotolato delle fasce di piccoli cartelli contenenti i nomi dei detenuti e degli agenti della polizia penitenziaria finora suicidatasi in questo 2024 nelle patrie galere da Nord a Sud della penisola. E’ già un macabro record: 65 carcerati e 7 guardie.

In una serie di interventi susseguitisi nel corso dello speech svoltosi di fronte alle mura del vetusto edificio (il progetto risale alla fine dell’Ottocento e l’edificio fu inaugurato nel 1914) sono stati messi in luce i vari elementi che rendono veramente tragica la situazione nelle carceri italiane. E’ un luogo comune però l’affermazione secondo cui la causa dei suicidi sarebbe il sovraffollamento. In realtà i dati non confermano questa spiegazione semplicistica. La soluzione non sta solo nel costruire nuovi penitenziari e nell’ aumentare il numero delle guardie carcerarie. Se si analizzano i profili dei detenuti che compiono per disperazione l’atto estremo, ci si rende conto che si tratta di persone senza famiglia, povere, malate, semianalfabete. Il 65% dei suicidi avviene tra coloro che sono ancora in attesa di giudizio, il 20% addirittura nei primi cinque giorni di detenzione, colpisce anche il numero altissimo di giovani reclusi tra i 20 ed i 35 anni che scelgono di togliersi la vita. In quasi tutti le carceri mancano attività lavorative o culturali, che tengano impegnati, forniscano competenze e diano così la speranza di poter ripartire una volta scontata la condanna. Non a caso le statistiche rilevano che oltre il 70% delle recidive tocca quei detenuti cui non era stata proposta la possibilità di svolgere alcun tipo di formazione.  

Nel paese di Cesare Beccaria, il carcere dunque sempre più sta assumendo la funzione di discarica sociale, non di luogo in cui la pena da scontare assume una funzione riabilitativa.

In questo drammatico contesto, la strada da percorrere per affrontare seriamente nell’immediato l’emergenza dovrebbe essere quella dell’ indulto, della depenalizzazione di alcuni reati o dell’ introduzione di misure alternative alla detenzione in modo che l’ incarceramento divenga l’ extrema ratio cui ricorrere per reati ad elevata pericolosità sociale, dell’assunzione- oltre che di agenti di polizia penitenziaria- anche di psichiatri che operino nei luoghi di pena dove i disturbi mentali sono all’ordine del giorno, tanto che la maggior parte dei carcerati deve ricorrere oggi alla sedazione mediante farmaci per alleviare la sofferenza.

L’ attuale governo di ultradestra, egemonizzato dagli eredi del neofascismo della Prima Repubblica e dai leghisti, va invece in direzione esattamente opposta. Nel furioso disegno di legge “Sicurezza”, che arriverà in discussione nelle aule parlamentari a settembre, sono contemplate ben 13 nuove fattispecie di reato più un certo numero di aggravanti. E se all’articolo 18 si introduce il crimine di rivolta in carcere, con pene da 1 a 5 anni di reclusione per chi non obbedisce agli «ordini impartiti» anche mediante «resistenza passiva», all’articolo 19 la stessa fattispecie si estende alle strutture di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e per rifugiati titolari di protezione internazionale.

Diventa reato l’«occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui» (da 2 a 7 anni); reclusione fino a un mese per il blocco stradale o ferroviario commesso da un singolo e da 6 mesi a 2 anni se il reato viene commesso da più persone riunite (aggravato se consumato nelle stazioni o nelle loro vicinanze). Le pene previste agli articoli 336 e 337 del codice penale (Violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale) sono aumentate di un terzo se il reato è volto ad impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica… Un delirio alla faccia del sovraffollamento penitenziario! Lo “scudo” contro la carcerazione è previsto- guarda un po’- unicamente per i politici incriminati, che possono non solo continuare a restare a piede libero, ma anche ad occuparsi dei loro affari fino alla condanna definitiva in terzo grado di giudizio!

Nel quadro complessivo di deterioramento del sistema, Canton Mombello non fa eccezione, anzi detiene il triste primato del sovraffollamento con il 200% di detenuti in più rispetto al limite massimo consentito per l’edificio. Se, malgrado la carenza di personale sanitario, educativo, di sorveglianza, finora non si sono verificati atti estremi di autolesionismo o rivolte lo si deve ai salti mortali compiuti, al fine di evitare il peggio, dalla direttrice, dagli addetti che operano nella struttura, dalla Garante dei detenuti (ha suscitato recentemente forte impressione l’iniziativa della lettera al Presidente della Repubblica).

E’ chiaro però che un’attività di rieducazione in un ambiente degradato come Canton Mombello non può essere portata avanti. Canton Mombello va chiuso se si vuole evitare che prima o poi esploda. A tale proposito tuttavia la proposta del Governo di ultradestra ha l’aria, più che di una soluzione, di una provocazione. L’idea sarebbe infatti di risolvere il problema ampliando il carcere di Verziano attraverso la cementificazione delle aree verdi di quello stabilimento penale ed accollandone oltretutto le spese al Comune, che certo non nuota nell’ oro e ha già fin troppe tematiche da affrontare.

Dinanzi ad una emergenza che adesso è prima di tutto umanitaria, “Potere al Popolo!” di Brescia ha aderito e partecipato al presidio del 9 agosto, che muoveva da un senso di giustizia e di ripulsa per ciò che sta accadendo. Ha ben presente però che se il sistema carcerario  italiano (così come del resto altri settori delle strutture statali)   si trova ridotto in condizioni tanto deplorevoli è perché almeno tre decenni di riduzioni delle spese per lo Stato sociale portate avanti sia dai governi di Centrodestra sia dai governi di Centrosinistra, in ossequio ai dettami del neoliberismo e culminate con l’inserimento del pareggio di bilancio perfino nella Costituzione mediante una modifica degli articoli 81, 117 e 119, approvata anche con il convinto voto favorevole del Centrosinistra, sono all’origine di questo sfacelo. Invece che affrontare i problemi sociali che stanno all’origine della propensione a delinquere, invece di risolvere le criticità di ordine economico, culturale da cui scaturiscono i reati, tutte cose per cui occorrono risorse finanziarie adeguate, si è preferito mettere la polvere sotto il tappeto trasformando il carcere in un surrogato a basso costo del Welfare. Gli effetti li stiamo vedendo.

REDAZIONE