RICCHEZZA E POVERTA’ A BRESCIA

La Banca d’ Italia, in un suo recente rapporto sulle attività finanziarie delle famiglie bresciane aggiornato al 2023, ha mostrato come in città e provincia sia depositata una ricchezza lorda totale pari a 241,15 miliardi di euro. Si tratta del dato più alto mai riscontrato: quasi il 43% in più rispetto al 2007 (anno dell’arrivo anche in Italia della grande crisi dei subprime esplosa negli USA qualche tempo prima) e il 18% in più rispetto al 2019 pre-pandemia Covid.

L’ incremento degli ultimi anni è dovuto principalmente alla rivalutazione delle quote di fondi comuni italiani ed esteri e delle azioni e partecipazioni.

Se infatti tra il 2022 ed il 2023 i depositi bancari sono scesi da 51,85 miliardi a 49,71 miliardi di euro e lo stesso è toccato a quelli postali (scesi di 260 milioni di euro e attestatisi a 17,32 miliardi), i titoli obbligazionari sono aumentati del 44% in soli dodici mesi (da 10,51 a 15,15 miliardi). Una crescita significativa si è registrata anche nella componente formata da azioni e partecipazioni, passata da 55,59 a 63,59 miliardi (+14%).

Ma chi detiene questa enorme ricchezza a livello locale? Non è un segreto per nessuno che la forza costante ormai secolare della tradizione, resistente a ogni urto e rovescio della Fortuna, garantisce stabilità al governo reale della città e della provincia da parte di un’ oligarchia che evita volgari ostentazioni, che non cerca affatto di essere al centro del gossip e che vive senza suscitare scalpore, quasi sottotraccia, la propria consolidata opulenza, nel solco di una sentita morale di impostazione cosiddetta cattolica progressista (“economia, finanza circolo virtuoso dell’ etica del bene comune” e altre cose di questo tipo, per capirci, che caratterizzano la propaganda ufficiale).

Sono le grandi famiglie, quelle che detengono gigantesche “quote” azionarie e obbligazionarie. Famiglie di industriali, possidenti terrieri, uomini della grande finanza, enti religiosi.  Dalla gens armiera dei Beretta di Gardone Val Trompia, ai Folonari, ai Fidanza della fabbrica di calzature di Verolanuova, ai Lucchini, ai Niboli, ai Bazoli solo per citare le più importanti e le più note. In tutto una ventina, comunque. Ma anche le realtà legate a vario titolo al mondo cattolico nelle sue molteplici ramificazioni non disdegnano affatto le “partecipazioni azionarie”: La Scuola Editrice, la Congregazione delle Suore Ancelle, la Fondazione Tovini, la Congregazione Padri della Pace, l’Opera Pia San Giovanni, gli Istituti delle Orsoline e Canossiane, finanche la Diocesi e il Seminario Diocesano e l’Opera Diocesana Venerabile Alessandro Luzzago.  

Tutto ciò ha trovato nel corso di decenni il proprio centro di potere sul piano economico nei consigli d’ amministrazione della San Paolo, del Credito Agrario Bresciano, della UBI e infine oggi in Intesa San Paolo con un crescendo di aggregazioni sempre più colossali. Sul piano politico, l’oligarchia ha un sicuro ed efficiente (dal suo punto di vista) referente nello schieramento del Centrosinistra, che esprime le sindacature comunali a Brescia di fatto dal 1991, ove si eccettui la breve parentesi del 2008-2013 con la corrotta ed inetta Giunta Paroli. Un sistema di potere dunque ben solido.

Eppure qualcosa si è inceppato negli ultimi anni anche nel “virtuoso” modello bresciano. La situazione economico-sociale del capoluogo stesso costituisce ormai una plastica rappresentazione del fatto che il meccanismo non funziona più come vorrebbe la tranquillizzante narrazione ufficiale.

Prendendo a riferimento i dati del Dipartimento delle Finanze del Mef sulle dichiarazioni del 2022, scopriamo che a Brescia il reddito medio (netto) annuo è di 25.858 euro, con un imponibile complessivo di poco superiore ai 3,807 miliardi di euro, per un totale di 147.235 contribuenti che lavorano e “producono”. Insomma la città è una fra le più prospere d’ Italia, d’ Europa e del mondo, considerando il suo numero di abitanti certo non da megalopoli. Ma le statistiche, si sa, sono ingannevoli. Infatti solo poco più dell’1,5% dei residenti- 3.305 totali su circa 200mila- può essere considerato “ricco” vantando un reddito annuo di almeno 120mila euro. E la ricchezza di questo 1,5% equivale a circa un quinto di tutti i redditi cittadini, anzi in alcune aree della città si arriva a sfiorare la metà. Si tratta delle zone del centro storico (Piazzale Arnaldo, Via Gambara, Piazza Loggia e Piazza Vittoria) e dei quartieri residenziali di Porta Venezia, Bornata, Costalunga, Maddalena, Mompiano, dove si registrano i redditi medi più elevati.  Ad essi fanno da controcanto i quartieri con redditi medi inferiori a 20mila euro l’anno (e guarda caso impestati dall’ inquinamento): Chiesanuova, Villaggio Sereno, Don Bosco, Villaggio Badia e San Polo con le sue articolazioni Cimabue, San Polo Case e San Polino.

E quanti sono infine nel Bresciano i “poveri assoluti”? Anzi verrebbe da chiedersi: possono esistere “poveri assoluti” perfino in un territorio così sviluppato economicamente e pieno di denaro? Ebbene sì, ce ne sono. E non sono neppure pochi. Le tante associazioni che distribuiscono di tutto, alimenti, vestiti, materiale scolastico registrano con preoccupazione una cifra attorno alle 15 mila famiglie in città, alle 50 mila in provincia.

Solo nel 2022 la Caritas ha distribuito 47.638 pacchi a oltre 6 mila famiglie, mentre alla Mensa Menni in città sono state sfamate 1687 persone. Anche il Banco Alimentare assiste 17mila persone che non hanno letteralmente da mangiare, fornendo tre milioni di pasti all’anno. Questo soltanto per quanto riguarda le organizzazioni caritative più grandi. Ma la solidarietà si esercita sul territorio anche attraverso numerosissime altre sigle impegnate a sfamare genitori e figli. L’allarme delle associazioni è crescente: le famiglie povere sulla popolazione complessiva erano il 4,1% nel 2007, il 6,8% nel 2012, sono diventate l’8,3% nel 2022. Certo, avranno influito negativamente la grande crisi del 2008-2011, la pandemia Covid del 2020-2021, l’inflazione reale contraccolpo della guerra in Ucraina, che ha provocato il raddoppio del prezzo di generi fondamentali come il pane e la pasta, ma il dato inedito e rilevante è che oggi il 25% di chi è costretto a ricorrere all’aiuto dei centri di assistenza ha pure un’occupazione, precaria o finanche stabile! E la miseria comincia a diventare una condizione ereditaria, non determinata dai rovesci della Fortuna. Sei su dieci di coloro che accedono ai benefici della Caritas sono infatti figli di volti già noti. Inoltre, fra gli aiutati dalla Caritas nessuna madre è laureata, solo il 4% dei padri è laureato, prevale nettamente sia tra i genitori sia tra i figli la licenza media. Il fallimento del sistema educativo come motore dell’“ascensore sociale” si misura anche su questi dati.

Un simile insieme di elementi fa emergere perciò a Brescia e nella provincia l’esistenza oltre l’immaginabile di famiglie fragili, la cui storia ormai comincia a rimandare a situazioni di “povertà ereditaria”. Maggiori sono i problemi nelle famiglie straniere che in quelle italiane (le quali comunque sono arrivate a costituire un terzo del totale mentre i nativi italiani seguiti dalle parrocchie continuano ad aumentare), nelle famiglie in affitto e con figli (fra quelle con cinque componenti il 22% sono povere assolute), tanto è vero che è meglio avere all’ interno un anziano con pensione- in modo da attivare una specie di welfare privato- invece di un giovane.

Colpisce in un quadro come questo che le istituzioni locali abbiano sostanzialmente demandato la gestione del problema alle strutture caritative emanazione della chiesa cattolica attraverso un sistema di convenzioni che relega ad un ruolo quasi residuale l’intervento pubblico dei servizi sociali, attuato dai Centri Diurni per l’inclusione sociale.   

REDAZIONE