Chi ha un po’ di memoria storica sa che da almeno mezzo secolo Brescia, terzo polo industriale italiano dopo Milano e Torino, è considerata un “laboratorio politico” importante, dove a livello locale si sperimentano formule da estendere poi all’ ambito nazionale. Ciò vale sia per lo schieramento di ultradestra sia per quello di Centrosinistra.
Fu così alla metà degli Anni Settanta, quando proprio a Brescia vennero inaugurate per la prima volta al Comune le “larghe intese” tra DC e PCI, che avrebbero dovuto lanciare il “compromesso storico”, riproposte successivamente con la prima Giunta Corsini del 1992. Fu così ancora alla fine del 1994, quando attorno al nome di Mino Martinazzoli, in occasione delle elezioni amministrative, si riunì una vittoriosa coalizione di forze antesignana dell’Ulivo di Romano Prodi.
E oggi?
Anche oggi, con la ripresa delle attività istituzionali di Sistema, a Brescia e provincia è tutto un fermento di alchimie politiche.
Cominciamo dal capoluogo, dove il “Campo Largo” esiste già, per completarlo manca solo il Movimento Cinque Stelle che, dopo il fallito esperimento della coalizione di opposizione ai due poli di Sistema con Unione Popolare e PCI alle ultime elezioni comunali del maggio 2023, sembra avviato ad una collaborazione con il Centrosinistra, per adesso su una non meglio precisata proposta di salario minimo comunale, poi si vedrà, ma come si dice, “se son rose fioriranno”.
Nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio Provinciale, che si terranno il 29 settembre prossimo, debutterà poi in modo istituzionale il “Campo Larghissimo”. Nella lista del Centrosinistra “Territorio Bene Comune” sono confluiti, infatti, PD, Italia Viva, Azione e anche l’aggregazione “Provincia Bene Comune”, che include al suo interno esponenti di Sinistra Italiana, Verdi, Movimento Cinque Stelle, Rifondazione Comunista, civici.
Si dirà che si tratta di elezioni particolari, per un ente di secondo livello, perché possono votare solo i sindaci e i consiglieri comunali, dato che una delle tante “riforme” volute dal Centrosinistra, nel 2014, invece di abolire, come promesso, le Province e le loro burocrazie, abolì il suffragio universale fino ad allora in vigore per quel tipo di elezioni locali, reintroducendo, dopo oltre un secolo, il suffragio ristretto… Ma insomma, si tratta pur sempre di un’ istituzione di una certa importanza, e la strada- per chi vuole intendere in ambito nazionale- è stata indicata.
Infine c’è il fronte interessantissimo del rinnovo delle Comunità Montane, dove si sperimenta a tutto spiano quello che potrebbe definirsi il “Campo Sconfinato”.
In Valtrompia, ad esempio, pur di sorpassare chi fino a poco tempo fa aveva fatto il bello e il cattivo tempo, cioè la Lega, i Fratelli d’ Italia eredi del neofascismo dell’MSI hanno creato un’alleanza con Italia Viva, che ha poi ottenuto l’appoggio del PD, portando alla presidenza il candidato di Italia Viva stessa, l’ex-sindaco di Sarezzo Massimo Ottelli, con una esponente di Fratelli d’ Italia come vicepresidente.
In Valcamonica il format “Campo Sconfinato” si è concretizzato nel patto concluso tra Lega e PD, con un ex-consigliere regionale dem, Corrado Tommasi, in pole-position per la presidenza e un posto di vice garantito ad un leghista.
Nella Comunità Montana della Valsabbia, infine, il modello del “Campo Sconfinato”, senza più alcuna divisione e contrapposizione, che riunisce tutte le forze politiche di Sistema dal PD a Fratelli d’ Italia, è da tempo una realtà compiuta e consolidata.
Ecco, sarebbe quanto mai opportuno che il “Campo Sconfinato” proposto nelle sue molteplici varianti nelle comunità montane del “laboratorio bresciano” si realizzasse anche nel governo nazionale, così gli elettori forse capirebbero meglio quale sia l’essenza della politica italiana di Sistema e magari qualcuno di essi, invece di astenersi, comincerebbe a votare le piccole forze realmente alternative fuori dai giochi di Palazzo, rafforzandole un po’.
Ma tornando dalle nostre parti e per andare sul concreto, a livello provinciale, le formule sperimentate, per quanto originali, servono almeno a risolvere penosi problemi che si trascinano da anni, in alcuni casi da decenni? Sembra proprio di no.
C’è il destino dell’Aeroporto di Montichiari, ciclicamente al centro di mozioni, ordini del giorno, riunioni eppure sempre lì moribondo. Se ogni tanto torna ad interessare le cronache è per traffici oscuri, come recentemente avvenuto a causa dei cargo carichi di armi e munizioni di ogni tipo atterrati e decollati al “D’Annunzio”.
Sono passati poi tredici anni dal referendum che sancì con una maggioranza schiacciante il “sì popolare” ad una gestione del servizio idrico non privatistica, ma non se ne è saputo più niente.
Sulla drammatica crisi ambientale che affligge il territorio sono stati prodotti non tanto investimenti, azioni concrete, misure efficaci, quanto soprattutto protocolli d’intesa e relazioni tecniche.
Per non parlare della questione del trasporto pubblico su scala provinciale, che torna alle luci della ribalta ad ogni riapertura delle scuole dopo le vacanze estive, tenendo banco per confronti e colloqui negli uffici e nelle stanze della politica di Sistema, e sparire nuovamente, dopo qualche giorno di chiacchiericci, fino a settembre dell’anno successivo, in assenza di un piano strutturato a lungo termine.
E per quanto potranno essere ulteriormente rinviati provvedimenti riguardanti il nodo del Depuratore del Garda?
FILIPPO RONCHI