BRESCIA IN PIAZZA CONTRO IL DDL SICUREZZA E L’ESCALATION ULTRAFASCISTA DEL GOVERNO MELONI

PIU’ CHE UN PRESIDIO, UNA MOBILITAZIONE

Quello che si è tenuto nel pomeriggio del 25 settembre a Largo Formentone a Brescia è stato qualcosa di più del presidio originariamente indetto da due sindacati confederali (CGIL e UIL) per protestare contro il ddl 1660, meglio noto come ddl “Sicurezza”, o anche come “Legge Antighandi”, perché punisce con svariati anni di carcere le proteste non violente, oppure “Legge Erode”, perché sbatte in cella i neonati.

Si è trattato di una vera e propria mobilitazione che ha visto scendere in piazza molte decine di militanti e attivisti di tutte le formazioni della sinistra di alternativa del capoluogo e della provincia, oltreché del liberalismo democratico.

LA POSTA IN GIOCO

L’approvazione alla Camera- che ha perfino peggiorato durante l’esame in aula l’impianto originario della legge- del coacervo di norme illiberali, criminogene e di inutile repressione promossa dal Governo Meloni attraverso i suoi ministri Piantedosi (Interni), Nordio (Giustizia) e Crosetto (Difesa) ha fatto toccare con mano che il rischio per la democrazia in Italia sta diventando realtà. Manca solo il passaggio al Senato, ma si tratta di una pura formalità, dati i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione nelle aule parlamentari.

L’ ULTRAFASCISMO GIUDIZIARIO DEL GOVERNO MELONI

L’ ultradestra al potere, per sfamare la pancia dei propri elettori a cui quotidianamente propina attraverso la propaganda del suo apparato mass-mediatico storie di crimini e violenze di ogni tipo, moltiplica a piene mani reati e carcere, volendo dimostrare così che “si occupa dei problemi della gente”.

Ma promettere anni di galera a chi blocca una via per manifestare o imbratta un muro con una scritta di protesta è chiaramente un atto contro lavoratori e studenti. E’ uno strumento per minacciarli, intimidirli e impedirne preventivamente le legittime mobilitazioni.

Mettere in carcere donne incinte e bambini, norma non prevista nemmeno dal Codice Penale Rocco del 1930, è una esplicita vendetta, ipocritamente giustificata con l’affermazione secondo cui “donne e bambini sfruttati è meglio che stiano in carcere”. Per questo la definizione del Governo Meloni come governo espressione in buona parte degli eredi del neofascismo italiano risulta ormai poco appropriata. Bisognerebbe parlare piuttosto di “ultrafascismo”, di superamento in peggio, se possibile, del fascismo stesso in tema di sicurezza.

UN’ANALISI OBIETTIVA DELLA SITUAZIONE

Il Governo Meloni ha sfruttato in realtà l’onda emotiva causata da scippi e  furti avvenuti nella metropolitana di Roma ed amplificata dai soliti immancabili youtuber, per solleticare il razzismo e deviare l’attenzione dall’incapacità del sistema della sicurezza pubblica a tenere sotto controllo la situazione nelle grandi città per mancanza di organici adeguati . A tale proposito c’è un dato che conferma questa tendenza. In base alle rilevazioni effettuate nel 2023, quando Meloni era tanto impegnata a decretare d’ urgenza contro i rave party, si è notato che sono molto diminuite le denunce per riciclaggio, associazione per delinquere e di tipo mafioso, ossia per tutti quei reati gravi che dipendono soprattutto dalla capacità di controllo e di investigazione sul territorio da parte delle forze dell’ordine e non dalle denunce delle vittime, ormai evidentemente sempre più disilluse rispetto alla possibilità di un contrasto efficace nei confronti della criminalità comune organizzata. 

All’ opposto, pochissimi casi in tutta Italia (una ventina forse) di donne che hanno approfittato di una norma dettata da senso di umanità, hanno condannato a vivere in carcere i loro bambini.  

GLI INGANNI

A fondamento di tutta l’impostazione dell’ultrafascismo giudiziario meloniano, ci sta un triplice inganno: che esista un effetto deterrente dell’ inasprimento continuo delle pene, che alla creazione e definizione di nuovi reati segua automaticamente la reale capacità di reprimerli e perseguirli, soprattutto che si possa generare sicurezza criminalizzando fenomeni sociali o intere generazioni di giovani.  

IL VERO OBIETTIVO

E’ chiaro quindi che l’ accozzaglia di norme sulle occupazioni degli immobili, sulle manifestazioni, sulle proteste passive e non violente nelle carceri- sovraffollate e lasciate a se stesse- trasformate in reati, sull’obbligo del permesso di soggiorno per avere una Sim per cellulare, finanche sul “terrorismo della parola” delineano i veri obiettivi dell’ ultrafascismo giudiziario di governo: criminalizzare il dissenso, aumentare la marginalità, il disagio, la clandestinità, ma specialmente aizzare l’odio sociale nei confronti di chi osa esercitare la libertà di protestare e dissentire. Tutto ciò per alzare il livello dello scontro, in vista anche della non poi così remota possibilità di dover mobilitare l’opinione pubblica contro il “nemico interno” in caso di un coinvolgimento diretto dell’ Italia in una spaventosa guerra nucleare.

IN ITALIA C’E’ BISOGNO DI SICUREZZA, MA SOCIALE

L’insicurezza vera, percepita dalle persone, del resto, sta altrove. Essa origina da altre cause: la difficoltà sempre maggiore di trovare un lavoro stabile e remunerato con salari non da fame, ma dignitosi; di avere case con affitti non proibitivi per chi si guadagna a fatica la giornata; un’età della pensione che si allontana ogni anno di più per la fascia anziana dei lavoratori ed assegni pensionistici che diventano un miraggio per le nuove generazioni. Ma anche su tali materie il Governo Meloni non intende intervenire  se non in senso peggiorativo.

UN’ OPPOSIZIONE PARLAMENTARE DEBOLE O AMBIGUA ALLA PROVA DELLA VERITA’

Malgrado alcuni interventi  a Montecitorio abbiano efficacemente illustrato l’obbrobrio giuridico delle nuove norme ultrafasciste, è evidente che nelle aule parlamentari c’è ben poca compattezza dell’ opposizione liberaldemocratica dinanzi alla svolta autoritaria. Stanno a dimostrarlo due elementi clamorosi: su 157 deputati dell’ipotetico “Campo Largo”, soltanto 91 hanno votato contro il ddl “Sicurezza”, mentre i rimanenti preferivano assentarsi. E poi il silenzio di tomba degli “antigiustizialisti” che tanto si prodigano in lezioni di diritto e di garantismo solo quando si tratta dei loro ricchi amici. Una conferma che la legge “non è uguale per tutti” nelle stanze dei Palazzi.

Il momento della verità l’avremo nei prossimi giorni. Il governo Meloni, mediante il Questore di Roma, ha vietato il corteo del 5 ottobre in solidarietà con il popolo palestinese, annunciato e previsto da settimane nella capitale. Insomma, una prova generale di applicazione del ddl 1660 prima ancora che sia deliberato in via definitiva ed entri in vigore. E’ un avvertimento, mandato non solo al movimento che non accetta il massacro del popolo palestinese ad opera delle spietate soldatesche spudoratamente denominate “Forze di Difesa Israeliane” (IDF).  

È un avviso a tutti i partiti, le organizzazioni politiche e sindacali di opposizione, i democratici, gli antifascisti. Insomma, una sorta di: “Chi ha orecchie per intendere, intenda”. Il divieto evoca infatti tanti “reati” contenuti nella “Legge Antighandi”: dal “terrorismo della parola”, ai possibili blocchi stradali con conseguente intralcio alla circolazione, all’imbrattamento di edifici pubblici, ecc.

Ci chiediamo quindi: quale sarà la risposta di Cgil, Uil, Anpi, Arci, Pd, Avs, associazioni varie liberaldemocratiche che  hanno manifestato il 25 settembre a Roma sotto il Senato e nelle principali città d’Italia per protestare contro il ddl 1660 e “contrastare una norma che ha il chiaro intento di azzerare la libertà e il diritto delle persone a manifestare il proprio dissenso”? Faranno finta che il divieto della manifestazione sia frutto dell’eccesso di zelo o di un colpo di testa del Questore di Roma? Oppure prenderanno atto della realtà, cioè che il divieto è un test per le future applicazioni del ddl “Sicurezza” e di conseguenza sosterranno il diritto di manifestare contro il genocidio in corso a Gaza, il terrorismo di Israele, i bombardamenti indiscriminati in Libano? Oppure ancora concorderanno con il governo che la manifestazione del 5 ottobre a Roma sia “un inno al terrorismo” e, come tale, va vietata? Attendiamo con curiosità e interesse una presa di posizione chiara prima del 5 ottobre.

ADESSO LA PAROLA ALLE LOTTE

“Potere al Popolo!” fin dall’ inizio di questa vicenda ha denunciato, utilizzando i mezzi di comunicazione a sua disposizione (documenti dei propri organi direttivi collegiali, interventi sui social e sui massmedia) la gravità e la pericolosità per la nostra civiltà giuridica e per le libertà sancite dalla Costituzione rappresentate dall’entrata in vigore del ddl 1660.

Continuerà a spiegarlo nei cortei e nelle piazze ai cittadini, a Brescia come nel resto d’Italia, sottolineando che alcune norme prima o poi colpiranno anche loro o i loro figli e che in ogni caso l’abbassamento dei diritti di alcuni non è qualcosa di cui rallegrarsi o disinteressarsi.

Oggi è preso di mira un giovane attivista dissidente, domani potrebbe toccare all’ “uomo qualunque”.

FRANCESCO ROVARICH