Il 10 febbraio “Giorno del Ricordo” si sono confrontate a Brescia tre diverse interpretazioni di ciò che accadde tra il 1943-45 e negli anni successivi in Istria, Dalmazia e Venezia-Giulia.
Esse si sono espresse in tre diversi momenti.
LA MEMORIA ISTITUZIONALE DEL “GIORNO DEL RICORDO”
Quello istituzionale è stato organizzato dal Comune e dall’ Ufficio Scolastico Provinciale nell’ Auditorium San Barnaba.

Il pubblico in sala era costituito dalle autorità (fra le tante, l’assessore Marco Fenaroli, il presidente del Consiglio Comunale Roberto Rossini, Manlio Milani presidente della Casa della Memoria), da studenti e studentesse dei licei Arnaldo, Gambara, Calini, dell’ Iis Tartaglia convocati per l’ occasione e da familiari dei profughi giuliano dalmati.
Il tema affrontato è stato specificamente quello dell’esodo e del processo di integrazione di questi ultimi nell’ Italia del secondo Novecento, attraverso le vicende di Brescia.
Si è trattato della presentazione- di taglio didattico considerata la prevalente presenza giovanile- del volume dedicato all’ argomento dallo storico Giovanni Spinelli, che ha svolto il ruolo di relatore durante l’evento.
L’ esposizione è stata molto accurata, accompagnata dalla lettura di alcuni brani del suo libro “Dopo l’esodo: da profughi a cittadini”da parte degli allievi di una classe dell’ Istituto Abba-Ballini.

Spinelli ha illustrato le varie fasi dell’esodo durato ben ventisei anni, dal 1943 al 1969. Ha descritto l’arrivo e la vita degli Italiani che avevano lasciato la Jugoslavia, nel campo profughi appositamente allestito a Brescia (dove ne passarono in quel lungo arco di tempo 30mila). Si è soffermato poi sulle difficilissime condizioni psicologiche e materiali in cui essi si trovarono. Ha narrato la loro fatica per diventare cittadini da “stranieri in patria”.
Il contesto infatti era quello di un’ Italia in ginocchio, affamata, piena di macerie. A Brescia in particolare si contavano tremila edifici crollati, 30mila senza tetto. Sostavano inoltre per lunghi periodi i soldati reduci dai campi di concentramento e smobilitati, gli espulsi delle ex-colonie. Perciò se inizialmente i primi 500 giuliano dalmati arrivati non sembrarono ai Bresciani un grave problema, con il passare degli anni ed il flusso ininterrotto degli esuli, i malumori tra la cittadinanza aumentarono. Tutto sommato però l’accoglienza ci fu.
Così il centro di raccolta della Caserma Goito di Via Callegari, che doveva essere temporaneo, alla fine restò attivo fino al 1966! Negli Anni Cinquanta sarebbe poi nato il Quartiere San Bartolomeo, con case popolari costruite anche per ospitare i giuliano dalmati.
Se l’ illustrazione delle problematiche legate alla vita quotidiana dei profughi a Brescia ed ai loro rapporti con il resto della popolazione è stata molto incisiva e dettagliata, frutto di una ricerca scrupolosa attuata su testimonianze e documenti inediti, che ha rivelato dati finora sconosciuti, molto meno persuasiva è stata la spiegazione del perché tutto ciò sia avvenuto.
Non potendo esimersi dal delineare quale fosse stata la causa di un simile fenomeno, che altrimenti sarebbe risultato incomprensibile ai tanti giovani partecipanti alla commemorazione, sia le autorità nei loro interventi di saluto, sia il relatore hanno fornito motivazioni alquanto discutibili.
Il presidente del Consiglio Comunale Rossini (PD), così come Manlio Milani, nei loro interventi di saluto, hanno fatto riferimento vagamente al “Male” che provoca l’ esclusione, alle “ideologie” e ai “nazionalismi” che fanno scomparire il valore della vita umana, approfittando dell’ occasione per esaltare l’ attuale Unione Europea dei Trattati di Maastricht.
Spinelli, nella sua esposizione, ha sì accennato alle responsabilità del fascismo e del nazismo in quella tragedia.
Ma le ha inserite in un fenomeno storico più generale e ben più rilevante. Che sarebbe stato quello delle “insorgenze dei nazionalismi”. E che si sarebbe dipanato senza soluzione di continuità tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento in Europa con i due picchi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Ciò sarebbe l’origine vera quindi di quanto accadde anche in Istria, nella Venezia Giulia e in Dalmazia.

Perciò in un certo senso le responsabilità del fascismo e del nazismo si ridimensionano, se non proprio si sminuiscono, confluendo in questo mare magnum dell’ “insorgenza dei nazionalismi”.
E vengono equiparate quindi a quelle del nazionalismo degli slavi, che avrebbe provocato le foibe e l’ esodo, unendosi oltretutto all’ ideologia comunista propugnata dall’ Esercito di Liberazione Partigiano di Tito.
Al termine di questo lungo giro, quindi, all’ origine della tragedia giuliano dalmata resta il nazionalcomunismo jugoslavo.
Una ricostruzione che certo ha alcuni elementi di verità, ma che lascia irrisolta la questione fondamentale. Perché, se l’“insorgenza dei nazionalismi” nell’ area balcanica durò all’ incirca un secolo e mezzo (fine Settecento-prima metà del Novecento), la situazione deflagrò in maniera catastrofica solo tra il 1920 ed il 1945 nell’ area giuliano dalmata, mentre fino a quel momento una qualche forma di pacifica convivenza era stata raggiunta tra le diverse popolazioni che la abitavano?
LA MEMORIA FASCIORAZZISTA
Sempre il 10 febbraio, ma nel corso della notte, la città ha dovuto assistere ad un’altra lugubre parata di “tutte le Comunità nazionaliste aderenti a Brescia Identitaria” coordinatesi nel cartello fasciorazzista “Difendi Brescia”.
Il solito manipolo di camerati provenienti da mezza Val Padana ha sfilato lungo un percorso dal valore- per loro- altamente simbolico: il via dall’ ex-caserma Goito, ex-sede anche del campo profughi, per poi snodarsi in via Trieste e concludersi in piazza del Foro, ad evocare le antiche glorie dell’ Impero perduto…
Accompagnavano la sfilata dei giubbini neri gli striscioni: «Foibe, io non scordo» e «Onore ai Martiri delle Foibe», oltre ai bagliori dei fumogeni, che fanno tanto atmosfera di altre marce notturne viste in Germania negli Anni Trenta.

Le poche righe di convocazione della manifestazione erano già di per sé un programma:
“Per ricordare e onorare chi non ha voluto piegarsi al comunismo slavo e ai suoi criminali complici.
Per gridare per Tutti i Martiri delle foibe: Presente!
Istria, Fiume e Dalmazia, Terra Nostra, Terra italiana!”.
Qui la ricostruzione, l’ interpretazione, la comprensione storiche dei fatti, come si vede, non c’entravano niente.
Anche il “Giorno del Ricordo” è diventato un pretesto per rinfocolare la campagna di odio, di vendetta, di paura che da un paio di mesi a questa parte i gruppi fasciorazzisti alimentano in città.
LA BUONA MEMORIA DELLE ORGANIZZAZIONI ANTIFASCISTE
E’ toccato così a “Potere al Popolo!” di Brescia e Provincia prendere l’iniziativa per organizzare un incontro di studio e di riflessione, che provasse a presentare una versione alternativa rispetto alla narrazione dominante.
Un nutrito gruppo di cittadini e cittadine di tutte le età si è così ritrovato presso la Sala Minelli di Via Borgondio, nel cuore popolare della città, in contemporanea con la sfilata dei fasciorazzisti.

Sono stati letti alcuni testi appositamente inviati da storici che da anni affrontano la triste vicenda delle foibe, nonché dell’ esodo giuliano dalmata, basandosi su documentazioni oggettive, verificabili e cercando di ristabilire il senso delle proporzioni insieme ad un minimo di logica.

Parliamo di Claudia Cernigoi, Saverio Ferrari, Eric Gobetti.
Ma proprio per questo essi si sono visti appioppare da personaggi come l’ attuale presidente del Senato La Russa ed altri politici liberalfascisti come Gasparri, dal mainstream e da colleghi più allineati allo spirito dei tempi l’ epiteto di “negazionisti”. Ed hanno ricevuto, come nel caso di Gobetti, ingiurie, intimidazioni, minacce di morte, querele.
Alla lettura dei brani- affidata a Giorgio Cremaschi- e agli interventi e testimonianze di antifascisti bresciani, si sono alternate canzoni antimilitariste e della Resistenza proposte da Marina Corti e Bruno Podestà, che hanno contribuito a creare un clima di sentita partecipazione.

E’ emerso come l’ istituzione del “Giorno del Ricordo” nel 2004 sia stata una scelta prettamente politica, con la quale stabilire quali morti devono essere ricordati e quali invece dimenticati o demonizzati
È una scelta necessaria che segue il revisionismo storico che sta attraversando l’Europa da decenni. Gli oppressi non solo diventano carnefici, ma devono anche chiedere “scusa” per aver lottato e vinto contro gli oppressori.
Non importa ciò che hanno fatto i fascisti, alleati dei nazisti, in Jugoslavia. Perché l’unico vero problema dell’invasione fascista dei Balcani sono le popolazioni slave che si sono rivoltate e per giunta si sono organizzate con i comunisti guidati da Tito
L’epoca nerissima in cui stiamo vivendo è un terreno ancor più fertile per riscrivere la storia e far diventare vittime i carnefici
Ma la ripulitura del fascismo non serve solo a ripresentarlo al potere in forme diverse. Serve anche ad annientare la verità riguardo chi ha sconfitto il fascismo 80 anni fa.
Il “Giorno del Ricordo” si è subito trasformato infatti nel rito annuale nel quale le Autorità della Repubblica italiana – detta ancora, perlopiù retoricamente, “nata dalla Resistenza” (ma non si sa più bene di che resistenza si tratti, fatta da chi e contro chi e cosa) – denunciano unilateralmente le persecuzioni e i crimini subiti tra guerra e dopoguerra da nostri connazionali residenti in Istria e Dalmazia, vittime “innocenti” dell’immotivata, belluina “ferocia slavocomunista”, colpiti “soltanto perché italiani”. Anzi di più.
L’ inserire nel calendario nazionale questa data, a due settimane di distanza dalla “Giornata della Memoria” dedicata alla Shoah e a tutte le vittime e ai perseguitati del nazifascismo, ha segnato una svolta, facendo parlare correntemente di foibe come “Olocausto degli Italiani” e ponendo, in una sorta di controaltare e di “dualità della memoria”, le vittime delle foibe e dell’ esodo giuliano dalmata sullo stesso piano di quelle della Shoah.
A fronte della ripetizione di tale rito vittimistico non è inutile precisare allora alcuni elementi storici reali che smentiscono un simile stravolgimento di ciò che accadde.
RICORDARE TUTTO PER NON DIMENTICARE NIENTE
Sotto il profilo etnico l’Istria è stata sempre una miscela di popolazioni, per secoli con continue immigrazioni dall’entroterra balcanico.
Ceppi prevalenti: italico (per lo più lungo le fasce costiere e nei centri urbani) e slavo (per lo più verso l’interno e nelle campagne) di norma conviventi pacificamente fino alla conquista italiana.
Questa convivenza storica relativamente pacifica è finita dopo la Prima Guerra Mondiale, con l’annessione all’Italia dell’Istria.
Dall’ avvento del fascismo, in quel territorio si svolse una sistematica opera di pulizia etnica, volta alla cacciata o alla snazionalizzazione forzata di tutti i ceppi non italici, con tutti i mezzi compresi i più violenti.
Con l’intervento dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente occupazione di una parte della Jugoslavia anche la situazione precipitò ulteriormente, in un crescendo di violenza repressiva degli occupanti (autori di eccidi e violenze di ogni genere: la ferocia degli “Italiani brava gente” alleati dei Tedeschi altrettanto “brava gente” è documentata in modo purtroppo incontrovertibile) sia contro la popolazione civile inerme, sia contro i partigiani (jugoslavi, ma non solo) in armi.
Nell’esperienza bellica vissuta dagli Sloveni e dai Croati la violenza repressiva degli invasori si poneva quindi in diretta continuità con la violenza snazionalizzatrice esercitata dagli Italiani nei due decenni precedenti. Per essi la lotta per la liberazione del Paese dagli occupanti era allo stesso tempo lotta – anche vendicatrice – per il recupero e il riscatto della propria nazionalità oppressa.
La ferocia delle foibe, correttamente definita e determinata, senza manipolazioni propagandistiche, del settembre-ottobre 1943 (collasso del sistema di dominio monarco-fascista) e dell’aprile-maggio 1945 (vittoria della guerra di liberazione jugoslava) si colloca dentro a questo quadro.
E’ un frutto tossico e vendicativo di una semina non meno feroce prodotta dalla snazionalizzazione, dalla guerra, dall’occupazione, dalla volontà di rivalsa, che – fondendosi con gli interessi territoriali di chi, come gli Jugoslavi, la guerra l’avevano subita ma l’avevano vinta – posero anche le premesse per il successivo esodo giuliano-dalmata.
L’Italia monarco-fascista invece era un paese aggressore, non soltanto della Jugoslavia.
E aveva perso una guerra che aveva contribuito a scatenare: ne pagarono le conseguenze tutti gli Italiani, Istriani compresi.
L’esodo degli Istriani e dei Dalmati di nazionalità italiana – uno dei tanti che hanno contrassegnato il Secondo Dopoguerra – rientra in questo contesto.
Di norma le guerre – e in particolare le guerre perdute dagli aggressori – hanno di questi epiloghi.
Non risulta che negli altri Paesi che li hanno subiti siano state introdotte “Giornate del Ricordo”, soprattutto proposte, e interpretate in ogni occasione, in senso vittimistico.
Non lo ha fatto neppure la Germania che ha registrato la cacciata dai Paesi in cui vivevano di 12 milioni di Tedeschi considerati, a prescindere dalle responsabilità individuali, complici degli invasori e per questo motivo costretti all’esodo, con la confisca delle loro proprietà e la perdita della cittadinanza dello Stato in cui vivevano da generazioni. Molti di essi furono oggetto di violenze e di rappresaglie da parte dei vincitori, a cavallo della conclusione della guerra. Tutti, benché cittadini di altre entità statuali, avevano pagato le colpe immani della Germania nazista…
Ma la Germania non ha deciso di celebrare un “Giorno del Ricordo” delle vittime e dei profughi tedeschi.
I tedeschi hanno un solo giorno della memoria, il 27 gennaio, la liberazione del campo di sterminio di Oswiecim/Auschwitz da parte dell’Armata Sovietica, in cui ricordano le loro vittime: le vittime causate dallo Stato tedesco sotto il governo nazista. Hanno invece fondato un Centro di documentazione su “Esodo, Espulsione, Riconciliazione”, inaugurato il 21 giugno 2021 che già nel nome indica un proposito di riflessione privo di intenti manipolatori, revisionisti, revanscisti.
Ma noi siamo Italiani e dunque, per autodefinizione, “brava gente” sempre vittima degli altri “cattivi”. E perciò abbiamo deciso di celebrare il ricordo delle tragedie che abbiamo provocato noi Italiani come se ne fossimo stati noi Italiani le vittime.
Eppure risulta molto difficile parlare di “genocidio” o “pulizia etnica” a danno degli Italiani nella Jugoslavia del Dopoguerra.
Le decine di migliaia che decisero di rimanere accettando il modello della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia produssero cultura in tutti i campi, alla comunità italiana fu riconosciuto il diritto al bilinguismo, furono garantite scuole con lingua d’ insegnamento italiana, organi di stampa, una radio e una televisione (Radio e TV Capodistria), seggi nei parlamenti locali. Gli Italiani che scelsero di partire e quelli che vollero restare presero innanzitutto una decisione di tipo politico.
IL COMPITO CHE SPETTA AGLI ANTIFASCISTI A BRESCIA
In sintesi, foibe ed esodo hanno avuto le loro origini nella politica dell’Italia. Certo: dell’Italia monarco-fascista. Ma per chi ne aveva subito le aggressioni e le violenze l’Italia era l’Italia, e quelli che le compivano erano Italiani, non necessariamente indossanti la camicia nera.
Di queste valutazioni si può ovviamente discutere. Partendo comunque dai dati reali a disposizione rispetto alle dimensioni del fenomeno. In questo senso nel corso della serata sono stati presentati casi clamorosi di mistificazione dei fatti e di lievitazione delle cifre delle vittime.
A cominciare dal numero reale di cadaveri rinvenuti nella nota foiba di Basovizza, per finire con l’ inclusione nell’ elenco dei “martiri” di ufficiali e dirigenti della Repubblica di Salò morti in combattimento o fucilati per crimini di guerra dietro denuncia delle Nazioni Unite.
Indiscutibili sono dunque le responsabilità dell’Italia, per altro riconosciute e sancite ufficialmente dal Trattato di pace sottoscritto dal Governo della Repubblica il 10 febbraio 1947, data poi scelta proprio per il “Giorno del Ricordo” con evidente intento revisionistico, per scaricarle implicitamente su altri.
E’ perciò intollerabile che gli eredi di coloro che furono all’origine di quelle tragedie – che pure si atteggiano a difensori della Nazione condotta al disastro proprio dal governo fascista– cerchino di trasformare in meriti le responsabilità criminali dei loro predecessori.
Ed è altrettanto intollerabile che ci siano propagandisti più o meno sprovveduti, anche ad altissimi livelli istituzionali, che continuano a dare loro copertura condividendone, consapevolmente o no, le posizioni nazionalistiche, revansciste, autolegittimatorie e autoassolutorie.
Proprio perché sono pratiche intollerabili, finché avranno voce gli antifascisti- anche a Brescia- continueranno a levarla contro di esse e i loro autori.
FILIPPO RONCHI