DI MERITO SI MUORE

“La vostra indifferenza la nostra rabbia: vogliamo stare bene” è lo slogan della campagna “Chiedimi come sto”; una richiesta piuttosto elementare, stare bene, eppure nient’affatto scontata per lə studente universitariə: è di marzo l’ultimo suicidio, uno studente genovese si è lanciato sotto ad un treno discostandosi, per altro, dai numerosi casi precedenti che prevedevano in buona parte il lanciarsi dal tetto della propria facoltà a seguito di un esame fallito oppure di una laurea annunciata ma non conseguita.
 
Sempre più diffusa, stiamo assistendo ad una forma di harakiri tutto universitario che si colloca perfettamente nei dati nazionali: nel 2023 solo il 18% dell3 italian3 ha dichiarato di vivere in uno stato di benessere psicologico (il 52% ha indicato le notizie a tema bellico come fonte di ansia e malessere, il 43% ha fatto riferimento alla crisi climatica) e, dei 4000 suicidi annui rilevati dall’Istat, ben 200 hanno riguardato persone più giovani di 24 anni colpite “dall’insuccesso” del loro percorso d’istruzione.
In un contesto simile risulta allarmante l’irresponsabilità di mass media e politica; i primi che, producendo un’enormità di articoli e servizi fatti con lo stampino, versano fiumi d’inchiostro sullə laureatə record del momento: esami sostenuti di dozzina in dozzina e tempi di conseguimento della laurea dimezzati, massimo dei voti e carriera già avviata, e poco importa quanto del percorso sia stato effettivamente interiorizzato o che lə studente in questione affermi di privarsi del sonno per non sprecare tempo.
Carlotta Rossignoli docet: ciò che conta è la performance, arrivare prima dell3 altr3, accomodarsi al meglio in un ingranaggio volto unicamente al profitto e che educa a fare dello stesso una priorità.
I media, vassalli nonché coadiuvanti del suddetto sistema, forniscono il loro imprescindibile contributo al detrimento della salute mentale della popolazione studentesca: per ogni studente che si è toltə la vita si trovano, con una breve ricerca, decine di articoli su quanto altr3 compagn3 siano stat3 più veloci, più organizzat3, più abili, più competitiv3.


Il secondo fattore, il fondamento di tutto, la politica, ha passato gli ultimi vent’anni a contribuire materialmente alla cultura della performance: rintanandosi dietro al tanto decantato “merito” e arrivando persino, in questa legislatura, a denominare il Ministero dell’Istruzione “Ministero dell’Istruzione e del Merito”, sancisce penalizzazioni economiche per chi paghi le tasse universitarie da fuori corso, per chi non sostenga un numero minimo di CFU all’anno e addirittura, nella ricca Lombardia, preclude l’accesso alle borse di studio a chi non abbia conseguito almeno 25 CFU nell’anno precedente arrivando a sostenere, dunque, che persino i diritti si meritino.
Al netto del fatto che la retorica del merito tende puntualmente a confondere ciò che è meritorio con ciò che è frutto di privilegi (famiglie economicamente stabili o addirittura benestanti, famiglie che abbiano contribuito ad avvicinare lə studente alla curiosità accademica fin da piccolə, famiglie che dimostrino di sostenere psicologicamente le sue scelte e il suo percorso: anche uno solo di questi ingredienti può assicurare maggiori possibilità di successo) sorge spontanea la domanda: giusto, i migliori vanno premiati, ma gli altri?
Non tutt3 possiamo essere prim3, ma il sistema deve funzionare per tutt3 ugualmente: punire con ripercussioni economiche e sociali un fallimento accademico tarato su standard del tutto irragionevoli, applicabili solo a chi oltre a talento e impegno ha la fortuna, è sintomo di un ingranaggio che non persegue ciò che dovrebbe perseguire: professionist3 preparat3 e curios3.
La spada di Damocle dell’insuccesso, e delle penalizzazioni che ne conseguono, pende sulla testa dell3 studenti. Sotto ad una spada che pende è molto difficile imparare.
Ecco quindi un serpente che si morde la coda in un loop infinito di obbiettivi irrealizzabili nati sulla base dell’elitarismo, di colpevolizzazione di chi non li raggiunge e, a quel punto, di difficoltà ancora maggiori nate dall’angoscia e dal senso di inadeguatezza.
Chi ne paga le conseguenze è, utilitaristicamente, la qualità dell’apprendimento e, di conseguenza, la qualità del lavoro, ma soprattutto la qualità della vita dell3 studenti: la nostra salute mentale deve necessariamente diventare un tema che, dai salotti televisivi alle aule parlamentari, trovi la stessa pregnanza dialettica di pensioni, sicurezza, tasse e quant’altro.


A marzo di quest’anno, in Parlamento, è stata presentata una proposta di legge studentesca con dei punti fermi che, ad oggi, risultano evidentemente imprescindibili: sportelli di assistenza psicologica e di counselling funzionali, gratuiti, preparati; corsi di formazione per docenti che, troppo spesso, non mostrano alcun interesse alla formazione dell3 student3 e, anzi, contribuiscono al loro senso di inidoneità rifugiandosi dietro a lezioni nozionistiche ed esami all’insegna del disinteresse se va bene, della pressione psicologica e dell’umiliazione se va male; corsi di educazione al benessere psicologico per studenti che, ora più che mai, devono essere in prima linea per combattere lo stigma del fallimento accademico.

Queste misure non devono essere percepite come vuoti obbiettivi da spuntare, ma come veri e propri traguardi di civilità: si veda il caso di Brescia in cui, nonostante alcune di queste misure siano già presenti (uno sportello di ascolto che, tuttavia, fornisce solo cinque sedute gratuite e ha ricevuto diversi feedback negativi da parte della componente studentesca, un Teaching Learning Center che tuttavia si concentra molto di più sull’aspetto didattico che sull’aspetto relazionale docente-studente), lo scarso focus sulla problematica sistemica non ha portato a un vero e proprio miglioramento su quel fronte.

L’apertura del centro di Ateneo “Spazio Studenti”, il cui scopo sarà proprio concentrarsi sulla ricerca per garantire il miglioramento delle condizioni psicologiche dell3 studenti brescian3, lascia ben sperare:  si deve fare in modo che il tema della salute mentale non resti solo una mano di bianco su una facciata fatiscente, ma costituisca un vero e proprio sconvolgimento del modo d’intendere il percorso universitario.

Obiettivo fondamentale è fare comprendere a famiglie, docent3, studenti, che non è il percorso universitario a definire il valore di una persona. Non importa se l’esame va male, se si ha bisogno di una pausa, se si è fuori corso: l’istruzione è un percorso di crescita, non una gara.
La salute mentale dell3 student3 italian3 è un’emergenza e come tale va trattata: se 1000 morti all’anno sul posto di lavoro sono una guerra, 200 suicidi fuori dalle aule sono una vergogna.
Chiedete all3 studenti come stanno, ascoltate, lottate al nostro fianco: la vostra indifferenza è la nostra rabbia.

MARTA CREMASCHI