LA CRIMINALITA’ DI CUI NON SI PARLA A BRESCIA

Da sempre uno dei cavalli di battaglia della Destra bresciana (come del resto d’ Italia peraltro) è quello della “sicurezza”. Essa punta a trasmettere, infatti, coniugando subdolamente il tema della sicurezza stessa con quello dell’immigrazione, un’immagine distorta diffondendo l’idea di una città in balìa della microcriminalità, che si propaga a partire dalle aree dismesse, covi di illegalità, tossicodipendenza, violenza, per dilagare nel centro storico dipinto come scenario delle azioni di bande criminali.

Eppure i dati oggettivi forniti dalla Questura e dalla Prefettura non confermano le rappresentazioni allarmistiche.

In questo senso, episodi che a volte destano preoccupazione soprattutto per il coinvolgimento della fascia giovanile della popolazione (il fenomeno delle cosiddette “baby-gang”) potrebbero essere efficacemente contrastati lavorando sul disagio psicologico, investendo sulle politiche sociali ed educative, modalità altrettanto se non più costruttive delle azioni di puro controllo e repressione, rispetto alle quali sarebbe necessario, semmai, un maggior coordinamento tra le forze di polizia municipale, carabinieri, polizia, pattuglie dell’esercito già operanti in città.

Il contrasto a certi comportamenti giovanili non necessita di decine di agenti e telecamere in più sparsi per tutta Brescia, ma passa attraverso interventi mirati, campagne di sensibilizzazione destinate alle scuole, servizi di prossimità in vicinanza dei parchi, attivando sinergie tra vigili urbani, servizi sociali e servizi educativi.

E’ significativo inoltre che questa destra bresciana così attenta all’ “insicurezza percepita” della cittadinanza minacciata dagli extracomunitari delinquenti, non si mostri altrettanto preoccupata dalla minaccia costituita della macrocriminalità assai presente a livello locale, sia nel capoluogo sia nella provincia, tanto da rendere necessaria l’apertura di un Centro Investigativo Antimafia (DIA), a partire dal febbraio 2023, anche a Brescia. Come ampiamente dimostrato dalle relazioni della DNA (Direzione Nazionale Antimafia) la ‘ndrangheta condiziona infatti ormai pesantemente economia, società e politica nel Bresciano come in tutta la Lombardia. Operano sul territorio le cosche di San Luca, i clan Piromalli di Gioia Tauro, Bellocco e Pesce di Rosarno, i Mancuso di Limbadi. Ma non basta. Anche la Camorra, Cosa Nostra, la Stidda di Gela con i clan Rinzivillo sono molto attive. Tutte hanno stretto sodalizi con imprenditori e liberi professionisti.

Combattere le mafie, contrastarne le infiltrazioni nell’ economia legale, reciderne i legami con i poteri dell’economia: dovrebbero essere queste sì le priorità in tema di sicurezza del territorio anche a livello politico.

Eppure stranamente nessun partito a Brescia pone al centro dell’agenda la lotta alle mafie. Talvolta, soprattutto in coincidenza con le campagne elettorali, sentiamo belle parole a riguardo, ma le parole senza i fatti sono propaganda. 

REDAZIONE