“IL PATTO DI BRESCIA”: IL PD “DEL NORD” DICE NO ALLA LEGGE CALDEROLI E SI’ ALL’ “AUTONOMIA DIFFERENZIATA” (MA LA CHIAMA “COOPERATIVA”)

UN IMPORTANTE EVENTO POLITICO A BRESCIA

Che il Partito Democratico avesse a cuore l’autonomia differenziata era sfuggito solo agli sprovveduti. Con l’assemblea tenutasi il 19  ottobre 2024 a Brescia alla Camera di commercio ogni dubbio è fugato: “il PD del Nord e non del NO” – questo lo slogan scelto – licenzia un documento programmatico per una regionalizzazione cooperativa e solidale, definito con enfasi dalla stampa locale “Il Patto di Brescia”. I consiglieri regionali del PD di Piemonte, Veneto e Lombardia, dando esito a un percorso condiviso iniziato ancora lo scorso marzo, si sono dati appuntamento a Brescia dove, insieme a dirigenti nazionali, parlamentari, sindache, sindaci e  amministratori, hanno presentato una controproposta rispetto all’attuazione dell’ “autonomia differenziata” disciplinata dalla Legge Calderoli, garantendo il massimo impegno nella campagna referendaria per l’abrogazione totale della legge.

DIRE NO PER DIRE SI’

Questi i punti salienti del documento approvato dai Consiglieri regionali:

– per poter attuare un regionalismo responsabile è necessario il federalismo fiscale, cioè poter tassare direttamente i residenti in regione;

– Comuni e Province devono poter contare su nuove attribuzioni e competenze, perché ciò avvenga è necessario modificare il Testo Unico degli Enti locali;

– bisogna modificare anche l’articolo 117 della Costituzione per riportare all’esclusiva competenza statale materie come l’energia, l’istruzione, il credito, le grandi infrastrutture – l’elenco non è completo, ma significativo;

– sarà necessaria una Camera delle autonomie, come c’è in tutti gli Stati federali – Renzi l’aveva già creata, il referendum del 2016 la rinnegò;

– necessita la costituzione di un fondo perequativo per garantire ad ogni regione di poter attuare responsabilmente la propria autonomia;

Come si può vedere non è roba di poco conto, e non è nemmeno affare del Nord. Il documento approvato dai consiglieri delle tre regioni investe tutto l’assetto dello Stato, ma se ne fa carico la Padania piddina. Come interpretare questa assunzione di responsabilità del PD del Nord? Come una denuncia d’insolvenza del PD nazionale e una surroga alla latitudine del “ghe pensi mi”? Come un guanto gettato in faccia a Calderoli per sfidarlo sul suo stesso terreno? Come strategia per acquisire fiducia e voti da parte dell’elettorato del Nord in gran parte favorevole alla regionalizzazione?

Comunque sia è un atto liberatorio per mettere finalmente le carte in tavola e dire che l’autonomia differenziata non è un’esclusiva della Lega, anzi, è frutto di una costante attività politica del PD, dalla modifica del Titolo V, e ancor prima.

UN SI’ ALL’ AUTONOMIA DIFFERENZIATA CHE VIENE DA LONTANO

Infatti, come non convenire che è così? Chi può dimenticare il primo ministro Gentiloni che nel 2018, a quattro giorni dal rinnovo delle Camere, quando si sarebbe dovuto limitare agli affari correnti, cioè, figurativamente, a spegnere le luci, abbassare gli avvolgibili e chiudere la porta di casa, cosa fa invece? Stringe e sottoscrive preaccordi con le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per concedere loro, ai sensi dell’ art. 116.3,  ulteriori forme e condizioni di autonomia che, per la modalità di attribuzione scelta e la portata delle richieste, ci rappresentano il “premier” come l’inquilino che prima di lasciare l’appartamento si libera dei mobili, impegna i gioielli di famiglia, svende l’argenteria, consegna il doppione delle chiavi, saluta e se ne va.

Si scherza, ma neanche tanto.

I preaccordi si sono definitI in bozze di intesa, ogni governo di ogni colore ha aggiunto un tassello, il tutto senza mai aprire un dibattito pubblico. Se qualcosa è trapelato è stato grazie alla tenacia di pochi uomini e poche donne, liberi cittadini e cittadine che non hanno smesso un momento di tenere la luce accesa su quanto stava accadendo, nel totale assordante silenzio dei principali e diretti attori politici che ordivano le trame della regionalizzazione nelle secrete stanze del potere.

Ma, dai oggi e dai domani, la questione è emersa. Dobbiamo ringraziare anche il ministro Calderoli per aver varato la Legge attuativa n.86 del 2024 con la quale disciplina le modalità per l’attuazione del regionalismo asimmetrico, è una legge procedurale che non interviene sul contenuto delle intese.

LE GRANDI MANOVRE DEL PD

Per l’abrogazione totale di questa legge si è costituito un Comitato Referendario, sono state raccolte un milione e trecentomila firme, si attende, a febbraio 2025, il pronunciamento della Corte Costituzionale che dovrà dichiarare ammissibile o meno il quesito di abrogazione totale della legge 86/2024. Cinque regioni guidate dal centro-sinistra hanno presentato anche un quesito di abrogazione parziale della legge 86/2024, per scongiurare- a detta loro- il pericolo di un rigetto, da parte della Corte Costituzionale, del quesito di abrogazione totale su cui si raccoglievano le firme. E’ stata perseguita inoltre la strada del ricorso in via principale alla Consulta per incostituzionalità della legge in questione. La Corte si pronuncerà in merito il prossimo 12 novembre.

Quali scenari si prospettano? I referendum abrogativi, se ammessi, si celebreranno tra aprile e giugno del 2025, dovrebbero votare almeno 25.000.000 elettori ed elettrici affinché sia considerato valido. Non è un obiettivo facile da raggiungere, bisogna mobilitarsi.

E’ in atto il tentativo dei ricorsi, ne ha parlato su Il Fatto Quotidiano il costituzionalista Massimo Villone: “ Agli oppositori dell’AD (n.d.r. autonomia differenziata) suggeriamo di guardare con attenzione al passaggio in Consulta. Per l’ovvio motivo che il referendum può cancellare la legge Calderoli, che però – come Zaia stesso dice, e per una volta dice il vero – non è necessaria. Quindi anche se il referendum abrogativo vincesse le eventuali intese successivamente adottate, in base all’art. 116.3 della Costituzione non ne sarebbero toccate dal punto di vista giuridico. Mentre una pronuncia della Consulta di illegittimità costituzionale della legge Calderoli potrebbe – definendo una corretta lettura dello stesso articolo 116.3 – porre argini a ogni successiva attuazione”, strada caldeggiata da Villone sin dal primo momento.

Per trarre delle somme: il cammino verso la regionalismo differenziato è avviato. Le destre lo vogliono, o meglio, lo devono volere in base all’accordellum di governo; il PD lo rivendica, anche se con modalità “differenziate” rispetto alla proposta Calderoli, che adesso chiama “cooperative”. E le altre forze di sinistra? Si scattano le foto inneggiando alla vittoria del “Campo larghissimo”. Solo “Potere al Popolo!” se ne tiene alla larga.

Tanti auguri a noi.

GIULIA VENIA