Come noto, l’ ideologia del Partito Democratico, fin dalla sua fondazione nel 2007, è stata quella del “ma-anchismo”, plasticamente rappresentata nei discorsi di uno dei padri fondatori nonché primo segretario, Walter Veltroni, in cui si sosteneva appunto che il PD era il partito dei lavoratori sfruttati ma anche dei loro padroni; della pace ma anche della guerra (umanitaria); della sanità pubblica, ma anche della sanità privata e si potrebbe continuare, però fermiamoci qui, perché ci siamo capiti.
Sono passati quasi due decenni, si sono susseguiti nove segretari democratici, l’unica cosa a rimanere sostanzialmente immutata e a rivelarsi fondata su solide basi è proprio l’ideologia “ma-anchista”.
Dalle nostre parti ne hanno avuto una conferma ancora il 25 luglio 2024 i cittadini ai quali è capitato di leggere l’interessante articolo, pubblicato sul “Giornale di Brescia”- dal titolo Frammentare le competenze è un errore– di un autorevole esponente locale del PD, Gianni Girelli, eletto deputato alle ultime elezioni politiche del 2022, dopo il consueto cursus honorum (sindaco di Barghe dal 1993 al 2006, consigliere regionale della Lombardia dal 2010 al 2022).
Girelli infatti spiega le “reali motivazioni” del “NO!” del suo partito alla legge Calderoli sull’ Autonomia Differenziata recentemente approvata a maggioranza dal Parlamento. “Un no netto e forte”, “un fermo no”, sottolinea. Ma- precisa subito- non certo per un rifiuto dell’autonomia, anzi: “Sappiano bene– afferma- che la riforma del Titolo V della Costituzione è stata promossa dal Centrosinistra, e che il PD ha sostenuto il referendum regionale lombardo, teso a chiedere più autonomia”, richiesta condivisa peraltro da tutte le regioni governate dal Centrosinistra, Emilia-Romagna in testa.
A questo punto è inevitabile che nel lettore sorga un interrogativo: “E allora perché è partita in pompa magna la campagna della raccolta firme, con perno il PD insieme alla CGIL, per chiedere un referendum abrogativo?”. Nella mente di tutti è infatti impressa la foto, ormai iconica, delle decine di promotori, da Maurizio Acerbo segretario del PRC a Maria Elena Boschi fedelissima di Renzi, in posa dinanzi alla Cassazione a Roma per il deposito del quesito referendario.
Girelli chiarisce il dubbio: in estrema sintesi, perché l’autonomia della Destra, di cui si chiede l’ abrogazione appunto, è un’autonomia cattiva, mentre quella del Centrosinistra è un’ “autonomia virtuosa”.
Poi argomenta: “La nostra idea di autonomia non ritiene praticabile la frammentazione regionale di settori strategici come l’ambiente, l’energia, la sicurezza sul lavoro, il commercio estero, l’istruzione”. Pure questo tuttavia risulta curioso per il lettore, perché gli ambiti citati sono (e oltretutto solo alcuni, in totale arrivano addirittura a una ventina), proprio quelli previsti all’ art.3 della Riforma del Titolo V della Costituzione, voluta e approvata nel 2001 da un governo di Centrosinistra (Amato II) composto da partiti che sei anni dopo avrebbero dato vita al PD e con dentro, in veste di ministri, personaggi del calibro di Sergio Mattarella, per proseguire con Luigi Bersani o Enrico Letta, tuttora viventi e operanti il primo in veste addirittura di Presidente della Repubblica, gli altri in qualità di ex-segretari e padri nobili del partito.
Girelli invece adesso dichiara, facendosi portavoce degli intenti del PD, che la Sanità deve tornare ad essere un servizio nazionale, che le materie legislative di cui sopra richiedono per essere applicate “la ricerca di alleanze europee” non meglio precisate e soprattutto che c’è stato un fraintendimento colossale, un equivoco di fondo nell’ interpretazione della Riforma del Titolo V voluta dal Centrosinistra, perché l’“autonomia virtuosa” da essa prevista doveva partire dai Comuni (anche se nel testo di detta Riforma si legge sempre la parola Regioni).
Si sa, gli ossimori sono una componente essenziale dell’ideologia “ma-anchista”, così Girelli può serenamente dichiarare che “l’autonomia (quella del Centrosinistra- nda) è strumento di costruzione dell’unità, non certo di spaccatura e diversità. L’ esatto opposto della riforma Calderoli che, invece, punta ad un centralismo regionale, spesso davvero insopportabile, mortifica i Comuni […] ridotti ad esecutori di scelte regionali”. Ecco, questo modo di ragionare, che diviene sempre più oscuro per il semplice cittadino non pratico di alchimie politiche ed istituzionali, merita di essere analizzato. Alla spaccatura- voluta dalla Destra- dell’Italia in 20 regioni trasformate in piccoli Stati confederati ma amministrate centralisticamente dai loro governatori, si contrappone l’apparente assurdità di un’ “autonomia virtuosa che costruisce l’ unità e non la diversità” grazie all’ amplissima libertà di gestione e di spesa accordata a… 7.904 Comuni (con buona pace del titolo dato all’articolo, che a questo punto risulta davvero paradossale)… Perché scriviamo che l’assurdità di una simile affermazione è solo apparente? Perché c’è una logica in questa follia. Le amministrazioni comunali delle più importanti città e metropoli d’ Italia sono ormai da tempo nelle mani del Centrosinistra. I governi delle Regioni in quelle della Destra. Si tratta dunque di una questione di soldi, di chi deve gestire direttamente i finanziamenti e la partita complessiva dell’autonomia.
Per cui alla fine Girelli ammette la necessità di una “messa a punto del Titolo V” “ristabilendo il valore di un indirizzo nazionale che guardi all’ Europa (?), realizzato attraverso la specificità della vera espressione dell’autonomia: i Comuni”. Insomma, visto che autonomia dovrà comunque essere, 7.904 autonomie sono meglio che 20. Quindi, in puro stile “ma-anchista”, Girelli conclude il suo ragionamento dicendo che “accanto al NO! si tratta di mettere a punto un serio come”, cioè in pratica un “SI’!”. E questa, secondo Girelli, sarebbe “la sfida che il PD deve saper lanciare”. Ma, nell’ambito del “Campo Larghissimo” del Centrosinistra, l’ autorevole Girelli non è l’ unico a pensarla in questo modo, evidentemente. Egli si fa portavoce di idee ampiamente condivise.
Non a caso, negli stessi roventi giorni d’estate in cui migliaia di militanti e attivisti della Sinistra, fiduciosi e generosi come sempre, si lanciano sotto la canicola nella raccolta firme sicuri che si arriverà a sottoporre agli elettori il quesito sull’ abrogazione totale della Legge Calderoli, succede una cosa strana.
Accade cioè che le cinque regioni governate dal Centrosinistra (Campania, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Sardegna) si accordano per presentare la richiesta di referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata con un testo identico. Ma i prime tre Consigli regionali che procedono all’approvazione – apripista la Regione Campania del Presidente De Luca l’8 luglio – introducono contemporaneamente, oltre al quesito dell’abrogazione totale, un secondo quesito che prevede un’abrogazione parziale!
Una decisione ufficialmente motivata dal lasciare aperta un’alternativa nel caso in cui la Consulta dovesse bocciare il quesito della cancellazione totale, che tuttavia testimonia l’ambiguità che lo schieramento trasversale del “Campo Larghissimo” ha mantenuto – e continua a mantenere – rispetto all’autonomia regionale differenziata, come a Brescia i cittadini hanno potuto, per esempio, ben constatare dalla lettura dell’ articolo di Girelli prima esaminato.
Un simile modo di procedere non può dunque che dare adito a dubbi di doppiezza e spregiudicatezza politica. Tanto da scatenare subito la reazione di Massimo Villone, professore di Diritto costituzionale e presidente dell’Associazione Coordinamento per la Democrazia Costituzionale. Su “Il Quotidiano del Sud” del 10 luglio, egli ha infatti evidenziato che “il quesito parziale in più o meno larga misura dà ragione all’avversario politico che ha approvato la legge“. E ha smontato anche l’argomento a giustificazione dell’affiancamento di un quesito parziale a quello totalmente abrogativo, come “paracadute” nel caso che la Corte Costituzionale dichiari inammissibile il primo, per assicurare comunque il voto popolare. Si è chiesto Villone: “Cui prodest avere un voto popolare che cancella solo alcuni limitati profili della legge e che quindi implicitamente la legittima per il resto?”. Partendo dal 2° quesito presentato dalla regione Campania, Villone è entrato anche nel merito del testo che “tocca soltanto alcune parole degli articoli 1 e 4 con un effetto che può essere riassunto nel condizionare l’operatività della legge e la determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione“, ma ancora una volta si parla di “determinazione” e non di “finanziamento o concreta erogazione delle prestazioni“. Non viene quindi superato uno dei punti più controversi della Legge Calderoli: la mancata garanzia delle risorse per un’effettiva riduzione dei divari territoriali e delle disuguaglianze. Alla fine Villone ha esplicitato senza giri di parole il “sospetto di un disegno occulto che scommette sulla dichiarazione di inammissibilità del quesito abrogativo totale per lasciare in campo un solo inutile parziale“, con un esito devastante: “Il referendum, anche se vincente, avrebbe alla fine il solo effetto concreto di legittimare col voto popolare la Legge Calderoli“, benchè lievemente modificata. Chi potrebbe poi opporsi ancora? E conclude durissimo: “Il quesito parziale approvato è la mossa di chi finge di voler bloccare Calderoli e in realtà gli spiana la strada. E’ un palese imbroglio – politico si intende”.
La campagna referendaria, già assai difficile per i tempi strettissimi della raccolta firme (che riguarda solo l’abrogazione totale della Legge Calderoli) – entro metà settembre, due mesi in piena estate – e ancora di più per il voto che dovrà contare su un’altissima partecipazione, sarà quindi ulteriormente penalizzata dal quadro confuso che due quesiti produrranno negli elettori, su un tema già molto complesso da illustrare e comprendere.
Ci si può fidare nella promessa fatta dai promotori del quesito parziale di ritirarlo se la Consulta accoglierà quello principale, essendo necessario per arrivare a una simile soluzione l’accordo di tutte le 5 Regioni? Tante vicende del recente passato dovrebbero aver insegnato qualcosa in proposito. E interventi come quello di Girelli lasciano grande spazio alle perplessità sul fine ultimo di tutta questa operazione.
FILIPPO RONCHI